18 marzo 2018

Un thè in compagnia di Daniel Di Benedetto


Come nasce in una persona la passione per la scrittura?
Parlo per me, prima di essere un autore sono senza dubbio un lettore. La passione per le storie inventate da qualcuno, il sentirsi parte di quelle parole fino al punto da entrare in empatia con i personaggi tracciati dalla penna dell'autore, hanno fatto sì che nascesse dentro di me il desiderio di dire: “Ho voglia di provarci anche io”. E a partire da piccoli pensieri tracciati su carta, passo dopo passo sono arrivato a immaginare trame e intrecci sempre più articolati. E ora, eccomi qua ^_^


Un valido scrittore deve essere prima un ottimo lettore? 
Ecco, appunto! Secondo me sì, anche se non basta certo questo. Non è sempre sufficiente leggere decine e decine di parole per poter dire di essere in grado di scrivere. Certo è un ottimo punto di partenza, poiché l'abitudine a leggere ti fa entrare in alcune dinamiche narrative che bene o male si ripetono. Ma il segreto, per conto mio, è sapere ascoltare ed essere una spugna, assorbire tutti i suggerimenti di chi ha più esperienza, per riuscire a farli propri, magari riuscendo a creare un proprio stile narrativo.

Parlaci delle tue opere, a quale target di lettori si rivolge?
Io ho iniziato con i racconti brevi. Per me erano (e sono tuttora) un ottimo esercizio, avere un inizio, uno svolgimento e una fine. Un'istantanea. E come guardando una fotografia mi piaceva descrivere l'emozione nell'attimo in cui arriva. In tutto quel che scrivo lo spazio per l'Emozione con la E maiuscola deve essere ampio, riconoscibile.
Sono partito con un noir breve, “Per non perderti”, per poi approdare a un libro di pura narrativa, “Waiting”. In entrambi i titoli, il lato umano e psicologico è molto importante. Mi piace l'idea che le persone che leggono le mie parole si possano riconoscere, tutte quante, nelle storie che racconto. Perché mi piace parlare delle emozioni che ci riserva la Vita, in ogni istante. Tutti si possono riconoscere nelle mie storie, perché non invento nulla. Provo a portare alla luce soltanto il lato emozionale di ciascuno di noi, che troppe volte lasciamo nascosto, per paura o vergogna.

Cosa ha fatto scattare la scintilla che ha portato alla luce la tua ultima fatica letteraria?
“Waiting” nasce da una domanda a suo modo semplice. Quante forme ha l'attesa? Lavorando per una casa editrice dal nome così evocativo, ovvero Dark Zone, la Zona Oscura, ragionando sull'attesa ho pensato a quante volte nella nostra vita tendiamo a nascondere le emozioni e quanto invece sarebbe stato importante trovare un porto franco, un punto in comune, dove lasciarsi andare ed essere semplicemente se stessi. Lasciarsi raccontare, raccontando proprio quel lato oscuro e nascosto in ciascuno di noi.

Cosa pensi del connubio scrittura-web-social. Oggi un autore non ha altro modo per far conoscere se stesso e le sue opere?
Credo che i social siano uno dei mezzi migliori per farsi conoscere, ma non può e non deve rimanere l'unico. Ho avuto l'occasione di girare per numerose fiere in giro per l'Italia e devo dire che la presenza “in carne e ossa” di un autore è sempre preferibile. Si instaura un rapporto empatico di fiducia a scatola chiusa tra autore e lettore, impossibile da ricreare artificialmente dietro una tastiera o uno schermo. Poi, sicuramente il vero crack è il passaparola. Quando il tuo nome inizia a girare nei consigli di lettura, significa che stai lavorando nel modo giusto.


Che speranza ha un autore di riuscire a scalare le vette senza essere sommerso dai milioni di libri che ogni anno si pubblicano?
Parliamo del concetto di scalata, scusandomi fin d'ora per la certezza di essere impopolare.  E' vero quando si dice che in Italia tutti scrivono e troppo pochi leggono. A me non frega niente (oddio, diciamo poco...) di vendere a tutti i costi. Per me deve esserci qualità in quel che scrivo, a costo di apparire superbo o “uno che se la tira”. Vedo troppe cover fotocopia. Troppe storie tutte uguali. Da lettore prima che da autore a me questa cosa mette angoscia. Non è possibile, mi dico, che la gente si accontenti di leggere sempre la stessa trama, declinata in mille modi diversi, ma sempre troppo simili. Ecco, io vado un po' contro questa sorta di appiattimento, perché così facendo si rischia di non riconoscere i veri talenti che possono esserci, nascosti tra le centinaia di proposte editoriali. La storia, lo stile di scrittura, il modo in cui un autore sa descrivere qualcosa senza essere prolisso o inutile, la caratterizzazione vera e profonda dei personaggi e delle ambientazioni. Sono tutti ingredienti fondamentali che troppe volte vengono messi da parte in favore di opere pompate da pubblicità o generi scritti coi piedi ma che “vanno di moda”.

A quale dei tuoi personaggi sei più legata?
Ogni personaggio ha sfumature che me lo rendono quasi un figlio. Non si può scegliere. Se proprio devo farlo, ne scelgo due, per diversi motivi. Uno è certamente Bruno Tortora, il co-protagonista del noir breve “Per non perderti”. E' uno che ha perso tutto e che annaspa alla ricerca di una rinascita. Alla fine, la sua occasione per ricominciare l'avrà e sarà premiata la caparbietà nella sua ricerca. L'altro personaggio al quale sono legato in maniera particolare è uno dei tanti personaggi seduti sulla panchina di “Waiting”. La storia che narra (senza fare spoiler, si parla di un'amicizia e del potere devastante di un ricordo) diciamo che sia qualcosa di particolarmente mio, ecco...

Domanda secca: Perché scrivi?
Per dare voce a tutto quello che non riuscirei a esternare a parole. Non sembra, ma ho le mie brave difficoltà a parlare in pubblico. Tutte queste problematiche magicamente scompaiono quando ho una penna in mano. Le parole iniziano a fluire come l'acqua di un ruscello, basta lasciarsi portare e non smettere mai di sorridere.

Alcuni autori preferiscono scrivere con la musica, altri in perfetto silenzio. Tu che tipo di scrittura preferisci, con musica o senza? Perché?
Totale e assoluto silenzio. Per scrivere devo “essere” quello che sto scrivendo. Ci fosse musica, inizierei a canticchiare...

Che tipo di autore sei?
Ipercritico. Verso me stesso in primis. Da me pretendo molto, ma non soltanto nella scrittura, nella vita in genere. E questo mi provoca qualche piccolo problema di ansia di troppo.
Ho scritto per molto tempo soltanto sulla base dell'ispirazione del momento, facendo passare anche settimane o mesi tra un capitolo e un altro, perché volevo avere in testa tutte le varie tessere del puzzle composto, prima di metterlo su carta. Con “Waiting” ho sperimentato per la prima volta un'altra via. Una scaletta vera e propria, che sono riuscito a seguire quasi passo dopo passo... tranne quelle volte in cui la storia mi portava letteralmente in punti imprevisti... e in quei casi, bisogna lasciarsi trasportare...
Anche nel libro in uscita tra un paio di mesi la scaletta è stata fondamentale, anche se tra un punto e l'altro si sono creati dei vuoti che ho dovuto riempire con... la fantasia... ;P

Quali sono i pro e i contro tra pubblicare in Self oppure ricevere un contratto da una Casa Editrice?
In Self comandi tutto tu. Hai il pieno controllo di tutte le fasi. Il che può essere un bene, ma devi pensare anche al “dopo”. La promozione, la presentazione in pubblico, la presenza nelle fiere di settore. E via di questo passo. Se alle spalle hai una casa editrice che ti assiste con professionisti su misura in ogni passo successivo alla scrittura (e per casa editrice intendo solo e soltanto quelle davvero free... le altre sono delle mangiatrici di soldi e di sogni per le quali non intendo spendere una sola parola) , la strada è forse anche più facile. Editor, impaginatori, illustratori, stampatori. Molte volte si pensa che una volta finito di scrivere, un libro sia pronto. Nulla di più sbagliato. Si inizia da lì, per tutto.


Qual è il libro che più hai amato leggere e che ti ha fatto dire: “Avrei voluto scriverlo io”.
Direi “Io uccido” di Faletti. Una scrittura che ti lascia senza fiato, un ritmo incalzante dalla prima all'ultima pagina. Per lo stile di scrittura invece, amo visceralmente la saga del vicequestore Rocco Schiavone, scritta da Antonio Manzini. Ha momenti di azione mescolati ad arte con attimi di poesia pura (penso al rapporto tra il protagonista e la moglie defunta e ai loro dialoghi impossibili).

In tre parole descrivi la tua scrittura.
Emozione. Ritmo. Vita.

I consigli sono sempre preziosi, cosa ti senti di raccomandare a un autore che decide di dare vita al proprio sogno e buttarsi nel mondo dell’editoria?
Non fermarsi al primo “No” ricevuto, se si approccia a una casa editrice. Scrivere, confrontarsi con gli altri autori, carpire da loro alcune piccole tecniche per migliorarsi sempre e non abbattersi per le critiche (così come non trastullarsi troppo per gli elogi). Ci sarà sempre qualcuno che scrive meglio di noi, è un dato di fatto.
Cercare di migliorarsi sempre e soprattutto, cosa fondamentale, essere soltanto se stessi. Costruirsi un personaggio non serve a nulla. Metteteci la faccia, sempre. E siate voi stessi, col sorriso.


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